Da "LIVE AT VILLAGE VANGUARD" - John Coltrane -

 

L’UOMO

Questo più recente supplemento alla raccolta delle opere dell’insaziabile indagatore John Coltrane, venne registrato il 2 e il 3 novembre del 1961 al Village Vanguard di New York. Assieme a Coltrane c’erano Eric Dolphy al clarinetto basso, McCoy Tyner al piano, Reggie Workman al basso, ed Elvin Jones alla batteria.

Coltrane disse a Bob Thiele, il direttore di registrazione della Impulse, che avrebbe voluto registrare dal vivo per la maggior libertà che uno spettacolo nel luogo di lavoro gli avrebbe dato, in contrapposizione al clima convenzionale di una registrazione in studio. Dopo la registrazione Coltrane disse: "Mi piace l’eccitazione che si prova in un club, specialmente il Vanguard dove si respira un’atmosfera familiare. E’ importante avere un vero e proprio contatto con il pubblico, in quanto questo è ciò che stiamo cercando di fare, cioè comunicare".

 

LA MUSICA

 

SPIRITUAL è un brano di Coltrane che si basa su uno spiritual che ascoltò per caso e che gli rimase impresso nella mente. "Mi piaceva il modo in cui era strutturato," disse. "Sento che siamo riusciti a mettere in risalto lo stato d’animo che trasmette la melodia. E’ un pezzo a cui abbiamo lavorato per un po’, perché volevo essere sicuro che prima di registrarlo, saremmo stati in grado di trasmettere le emozioni proprie dello spiritual".

Dopo la cupa apertura in cui il sax soprano traccia le tristi linee della melodia, lo stesso Coltrane si dilata su quella impronta funerea che descrive il travolgente liricismo che sta alla base di tutto ciò che suona. Ciò che vale la pena notare, è la migliore padronanza che Coltrane ha acquisito col sax soprano. Avendo usato sia il soprano che il tenore, si sono presentate delle difficoltà, in quanto il soprano richiede un’imboccatura più serrata, ma questa registrazione dimostra che come col sax tenore, Coltrane ha fatto dello strumento un prolungamento naturale di sé stesso. Le tonalità sono piene, solide, e in grado di variare la struttura per aggiungere più particolari alle sensazioni. Coltrane è seguito da Eric Dolphy che si esibisce in uno dei suoi caratteristici assoli "parlati", al clarinetto basso. Anche lui ha saputo rendere il suono più caldo, aumentando la flessibilità dal punto di vista tecnico.

L’assolo di McCoy Tyner esprime con ammirazione ciò che Coltrane descrive come la sua "incantevole percezione della forma e la freschezza che riesce a ricavare dalla tastiera del pianoforte mentre suona gli accordi". Coltrane rivolge a Tyner un altro apprezzamento che pur risultando meno evidente, acquista chiarezza nei pezzi più ribollenti del sassofonista: "McCoy" dice Coltrane, "possiede una meravigliosa concezione lirica, essenziale al fine di completare il resto della formazione". La sensazione che il particolare liricismo di Tyner sia più flemmatico di quanto spesso non sia quello di Coltrane, non contrasta con qualsiasi altra considerazione, perché l’equilibrio risiede tra le stesse due forme di slancio lirico. Coltrane aggiunge: "Lo conosco da molto tempo e ho sempre sentito di voler suonare con lui. Le nostre idee si incontrano e si fondono. Lavorare con McCoy è come indossare un guanto che calza alla perfezione". Dopo Tyner, Coltrane termina il pezzo evocando una forza struggente molto più seducente di tanti pseudo-gospel "soul jazz" prodotti negli ultimi due anni.

 

SOFTLY AS IN A MORNING SUNRISE è stata eseguita in questo concerto, perché, come dice Coltrane: "In un disco apprezzo la varietà. Mi sembra che questo brano, di cui in particolare mi piace il ritmo che Jones tiene, completi gli altri miei due". Coltrane è ancora una volta al soprano. Tyner apre con un assolo vivacemente sciolto, cristallino, che porta ad una serie di curiose variazioni tematiche ad opera di Coltrane, in cui non risparmia virtuosismi, e in cui dimostra la malleabilità di uno strumento così difficile come il sax soprano.

 

CASHIN’ THE TRANE è un blues. "Di solito preferisco acquistare confidenza con un pezzo nuovo prima di registrarlo, ma con il blues, non ci si deve preoccupare, a meno che non abbia una struttura complessa. Qui, la melodia, non solo non venne scritta, ma non venne nemmeno formulata. Battemmo il tempo, ed iniziammo". Considerando la lunghezza del brano e il notevole numero di prodezze di Coltrane, gli chiesi se la mia teoria secondo cui stava cercando di creare e diffondere una specie di ipnotismo in modo tale che l’ascoltatore, a poco a poco, potesse concentrarsi per lasciarsi catturare dalla musica, privo così, delle consuete barriere emotive, fosse fondata. "Questo potrebbe essere un aspetto secondario", rispose, "ma non sono salito sul palco con l’intento di produrre un simile effetto. Sono ancora alla ricerca di un certo tipo di sonorità, di scale. I risultati si potranno avere tra molto, o tra poco tempo. Questo di certo non lo so. C’è sempre un qualche cosa che poi finisce per condurti in qualche altro posto. E’ ciò che garantisce l’evoluzione, e talvolta mi è accaduto che un pezzo, mentre magari lo stavo suonando fosse più lungo a venire, di quanto non mi aspettassi. Quando un periodo è ricco di eventi, il brano non dà l’impressione di farsi attendere ancora per molto".

Questo lungo blues e i due brani che lo precedono, stimolano Coltrane ad altre considerazioni, sui musicisti che suonano con lui. "Per molto tempo Eric Dolphy ed io, abbiamo discusso di tutte le possibilità che l’improvvisazione, l’incastro e le varie tecniche forniscono. Questo dialogo ci ha aiutati nella continua ricerca, per giungere finalmente alla conclusione che dopotutto la band c’era, e che per Eric aveva senso prendervi parte. Averlo sempre lì, a disposizione, è per me uno stimolo costante. Come Elvin Jones, anch’io apprezzo in modo particolare l’abilità che ha nel miscelare e nel sapersi destreggiare fra le ritmiche. Inoltre è sempre attento a tutto ciò che gli succede attorno. Penso si possa dire che abbia il dono dell’ubiquità. Reggie Workman, ha una ricca immaginazione e una buona capacità nel lasciarla fluire, cosa che nella mia band è importante. Molte volte i musicisti stabiliscono la loro partitura, e Reggie è molto bravo a creare una propria linea di basso. In questa band nessuno può fare affidamento sugli altri. Ognuno di noi deve aver chiaro in mente ciò che si sta facendo e dove si sta andando".

Coltrane, che in Cashin’ The Trane suona il tenore, vi s’immerge sin dall’inizio. L’assolo è particolarmente seducente per la sorprendente varietà della struttura. Esprime tutta la forza del suo sax, e l’interminabile intensità della sua inventiva. Ascoltare Coltrane in questa implacabile esibizione è assai avvincente, perché permette al suo pubblico di essere spettatore di un intenso atto di spontanea creatività. Talvolta, anche nel jazz, sono state operate delle frettolose rifiniture per evitare errori dovuti ad un’eccessiva improvvisazione; ma in questo caso, il brano prende vita inaspettatamente davanti a noi. E’ possibile quindi, avvertire indirettamente un raro fenomeno contemporaneo. Un uomo che rischia il tutto per tutto, anche davanti al pubblico. Se aprendo il cuore ad una totale auto-indagine, si possono trarre molti benefici dall’essenza dell’esperienza jazz, lasciarsi trasportare dal vortice di un blues, significa godere della vigorosa e indomita sensibilità musicale di Coltrane.

Coltrane non si ferma. Due mesi dopo aver realizzato questa incisione, diceva: "Devo scrivere più musica per il gruppo. Devo proprio migliorare la composizione studiando e lavorando sodo. Ho già avuto l’occasione di dare un’occhiata a questo modo di affrontare la musica (in India), in cui particolari sonorità e sequenze, sono dirette alla realizzazione di specifiche espressioni emotive. Devo continuare a provare. C’è ancora molto da fare". Ed è questo totale impegno rivolto alle infinite possibilità che la musica può originare, che rese così vigorosa e talvolta terribilmente vivace l’esecuzione di Coltrane quelle due sere al Village Vanguard.

—Nat Hentoff

 

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